Marco Napoli
C.A.R. l’ombra di un paese
Repubblica Centrafricana, Febbraio 2014
Paura e abbandono si mischiano con l’aria secca e tetra che si respira in questi mesi a Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana. A vent’anni dalla fine del genocidio in Ruanda, sul continente africano si allungano le ombre di una nuova guerra settaria. La pace della miseria regna su questo paese che è l’ombra di se stesso.
I suoi dirigenti hanno presto ceduto alle tentazioni del potere e, sopratutto, all’arricchimento facile e veloce che sembra costituire un’esigenza primaria. Ad un anno dal colpo di stato e dall’auto proclamazione di Michel Djotodia come presidente – il capo dei Seleka si è dimesso lo scorso gennaio – la Repubblica Centrafricana continua ad essere un Paese senza pace e come sempre le prime vittime sono i civili: donne, bambini, uomini uccisi o feriti dalla guerra e dalle sue conseguenze – stenti, povertà, carenza di cibo, difficoltà ad accedere alle cure e ai servizi basilari. In molte zona della città i saccheggi delle case abbandonate dai musulmani in fuga hanno dato nuova linfa al mercato che sorge lungo boulevard Damala. Si trova di tutto: mobili, piastrelle, vestiti, qualche elettrodomestico, animali da cortile, libri scolastici, banane, un computer.
Le milizie antibalakà che controllano la zona vestono indumenti musulmani e ballano nelle strade, scimmiottano una preghiera islamica, agitano i machete in segno di vittoria. Festeggiano la cancellazione della comunità islamica che viveva nel quartiere. Uccisi, o fuggiti. Quelli che ancora restano nella capitale si sono concentrati nella grande moschea, a PK 5. Attendono che qualcuno li scorti fuori dal paese, a bordo di camion carichi di tutto ciò che i saccheggi hanno risparmiato. Un viaggio pericolosissimo. Anche per chi tenta di gettare acqua sul fuoco il pericolo è enorme. Il deputato del parlamento di transizione, Jean Emmanuel Ndjaraoua, è stato ucciso nel centro di Bangui da due uomini a bordo di motociclette, per aver denunciato l’ondata di violenza nei confronti della comunità musulmana. Il suo corpo, trasportato alla morgue di Bangui, mostra le ferite di nove proiettili di kalashnikov. Un’esecuzione che continua ad allungare le ombre della crisi su questa terra di cui tutti ci siamo dimenticati.